La sfida lanciata in questi ultimi anni dal sassofono nei confronti della musica da camera si preannuncia davvero ricca di sorprese non solo per gli esecutori ma, soprattutto, per chi si abbandona al piacere dell’ascolto. Dopo essersi mostrato concorrente temibile per trombe e cornette nel settore delle bande mondiali a partire soprattutto dal primo dopoguerra (post 1918) e aver conquistato il record delle preferenze nel mondo del jazz, nel XXImo nuovo secolo lo strumento inventato da Adophe Sax (1814-1894) attorno al 1846, strizza l’occhio con sempre maggior convinzione al quartetto d’archi e, schierando l’intera sua famiglia (soprano, contralto, tenore, baritono), sollecita un gruppo in rapido sviluppo di sensibili e agguerriti compositori alla costruzione di nuovi repertori.
I risultati migliori di tale azione, fino ad ora, sono usciti probabilmente dalle mani dei cosiddetti arrangiatori, ovvero (stando al dizionario della tradizione) una sorta di sottocategoria di compositori/esecutori che si sono applicati a prodotti già perfetti per certe situazioni, ai quali la ‘traduzione’ di pagine autonome e riconosciute è servita a testare le potenzialità di tale, nuova, forma di quartetto.
In realtà il pegno da pagare per chi sceglieva, come compagno di vita, il sassofono non era solo tecnico e non si riduceva nemmeno a una questione di repertorio. Quando nella musica si utilizza il termine ‘quartetto’ si va incontro a una serie di attese culturali non necessariamente condivisibili, ma dalle quali non si può prescindere. Non ci si misura solo con un’espressione numerica o il concetto di ‘famiglia’ strumentale: il campo non è quello della matematica, bensì della cultura. Il sapere forse più ‘alto’ nella musica classica, profondamente connesso al termine ‘quartetto’, purtroppo escluso dal percorso formativo proprio degli studenti di sassofono o trombe e che, ora, ogni sassofonista deve assimilare.
Infatti, nell’affrontare tale forma espressiva non basta invadere un territorio sostituendo partitura a partitura, strumento a strumento: bisogna conquistare una libertà poetica capace di far convivere stili e modalità espressive diverse senza ricorrere alla finzione o alla mediazione che non sfuggirebbero all’ascoltatore attento. Un passaggio che forse può convivere, per un attimo, con l’inquietudine del risultato finale: ma l’inquietudine è una preziosa compagna e una qualità della modernità!
La convivenza, nella presenza fisica su un palco di un Quartetto di sax, con l’idea ancora oggi dominante del Quartetto d’archi, non deve necessariamente suggerire una simbiosi fra i due elementi: le differenze reali non vanno celate, ma trasformate in risorse. I linguaggi non si devono mescolare, ma dovrebbero piuttosto sfruttare questa doppia immagine, pensando alle potenzialità illimitate del ‘doppiosenso’, soffio vitale per ogni forma di linguaggio.
Gli interpreti e i repertori qui presentati arrivano, comunque, dopo una importante operatività sottotraccia, iniziata con il nuovo millennio. Oggi al quartetto di sassofoni è riconosciuta la possibilità di presentarsi come corpo unico, condividendo estensione di registro (dai profondi bassi ai sottili acuti), agilità tecnica, omogeneità timbrica e carattere (l’intera gamma dell’espressività, dal gesto aggressivo degli staccati sino alle soffici curvature melodiche). Complice una programmazione artistica (nelle sale da concerto) sempre più disponibile ad accogliere gli incroci più improbabili fra interpreti e repertori, il quartetto di sassofoni conferma sempre più tale percorso interno a una scrittura cameristica che sembrava impenetrabile, vincolando gli interpreti a una maturità estetica e interpretativa inedita. Per gli ascoltatori, nell’esplorazione di queste nuove scritture non mancano certo le sorprese accanto alla soddisfazione di un magari celato spirito d’avventura.
Il percorso dei quattro componenti il Milano Saxophone Quartet – Damiano Grandesso, sassofono soprano, Stefano Papa, sassofono contralto, Massimiliano Girardi, sassofono tenore, Livia Ferrara, sassofono baritono – segue proprio la strada sopra delineata. Dopo gli studi accademici, per i quattro amici, maturati in ambienti differenti, è stato naturale individuare un percorso preciso verso la costruzione di una ‘differenza’ interna ai già numerosi quartetti di sax operanti in Europa. Uno scarto che si poteva assorbire solo fra le pieghe più profonde della cultura musicale. Ecco quindi i quattro strumentisti impegnarsi in altri studi approfonditi sulla concertazione, la musica da camera, secondi strumenti, le lettere presso istituti accademici italiani, tedeschi e francesi; e ancora, frequentare teatri, orchestre sinfoniche e i luoghi riservati alle produzioni contemporanee. Assieme, invece, si avvicinano alle culture del quartetto attraverso la lettura e trascrizione delle grandi pagine cameristiche e a quelle contemporanee di Sciarrino, Torke, Cage, Xenakis.
Il risultato è una raffinatezza esecutiva costruita sul confronto fra una matrice indubbiamente jazzistica e una maturità classica che diventa la cifra distintiva personale del Milano Saxophone Quartet. Una sintesi messa in bella mostra proprio in queste tre difficili incisioni, dove una garbata scioltezza esecutiva rivela tale intelligente sintesi interpretativa.
In Skylines, per l’appunto, il Milano Saxophone Quartet, si confronta con testi scritti tutti nel nuovo, terzo millennio da autori per i quali l’espressione creativa (momento esecutivo, didattico e atto compositivo) si integra continuamente: Maarten De Splenter (*1984) proviene dal Belgio ed è interessato alla sperimentazione anche visiva e performativa; Giuseppe (Pepito) Ros (*1965) si è formato fra Mantova e Brescia; Guillermo Lago (*1960) è lo pseudonimo dell’olandese Willem van Merwijk. Tre nomi uniti dall’essere, essi stessi, abili e riconosciuti esecutori pur seguendo strade compositive diverse. Inutile sottolineare quindi la fluidità delle scritture, dove ogni figurazione tecnica mostra un’aderenza perfetta alle risorse espressive dello strumento.
Antonio Carlini
Con questo progetto il Milano Saxophone Quartet propone al pubblico una vera e propria METAMORPHOSIS; lo spettatore si ritrova ad essere testimone della trasformazione sonora del quartetto di saxofoni che da mostra, toccando diversi stili, di una delle sue principali caratteristiche: la flessibilità. Il programma si apre con il “Quartetto op. 102” di Alexander Glazunov, la cui storia è essa stessa una metamorfosi; il compositore, infatti, conosce per la prima volta il saxofono in un jazz club di Parigi ma è soltanto quando ascolta il “Quatuor de saxophones de la Garde républicaine” che decide di scrivere per questa formazione. Glazunov era stato colpito dalla duttilità sonora del saxofono e descrive con queste parole lo strumento “Faccio fatica a credere che sia lo stesso strumento che si ascolta nel jazz. La chiarezza e dolcezza del suo suono mi sorprende!”. Si abbandona il salotto romantico di Glazunov per cambiare totalmente stile con “Tango virtuoso”, brano in cui il compositore Thierry Escaich dedica ai saxofoni un capolavoro cameristico che vede gli strumenti partecipare al ballo in maniera organistica. Il programma si conclude con un’ultima metamorfosi: le “Danze slave” di Dvorak. Esse sono la chiara dimostrazione di come la musica folkloristica si sia trasformata per andare ad occupare un posto di rilevanza nel repertorio della musica “colta”.
In un ‘epoca in cui assistiamo ad un rigore filologico nelle pubblicazioni e produzioni musicali, desta sorpresa l’impresa del Milano Saxophone Quartet che si getta nella mischia proponendo in un unico cd brani di Gabrieli, Scarlatti, Verdi e Puccini. Mentre oggigiorno i più cercano l’esecuzione più aderente all’originale, c’è chi tranquillamente si appropria di pagine che non solo non sono scritte per gli strumenti con cui sono eseguite, ma che anzi sembrano tra le più distanti possibili immaginabili. La trascrizione è nata e nasce da necessità pratiche, ma a volte diviene uno strumento potentissimo ad esaltare il virtuosismo strumentale dell’interprete, che ammalia il pubblico proponendo pagine che sembrerebbero quasi ineseguibili con il suo strumento. Insomma si corre un po’ sul filo del rasoio. Ed è quello che fa, felicemente, il MSQ.
Spettacolo di teatro – musica con:
Giorgia Antonelli – interprete
Milano Saxophone Quartet
Drammaturgia – Giorgia Antonelli e Titino Carrara
Regia – Titino Carrara
Drammaturgia musicale – Giovanni Bonato
Il Milano Saxophone Quartet è lieto di presentarvi “MSQ Organ Project”.
L’unione di due strumenti così distanti ma così affini, separati da millenni di storia umana e musicale, lo strumento della misticità e delle istituzioni, con lo strumento del popolo e del jazz, permette l’esecuzione di un repertorio unico.
Nel mondo della globalizzazione, un ottimo esempio del nuovo dato dall’incontro-scontro di identità e radici diverse.
Programma
Sofisticata rabdomante di melodie sui cui provare la sua irripetibile cifra vocale, Antonella Ruggiero è il nuovo ospite d’eccezione del lungimirante progetto “Mai Soli” del Milano Saxophone Quartet.
Il fortunato incontro ha dato il via ad un sodalizio che ha riscosso subito l’entusiasmo del pubblico. Da qui è partita una minuziosa e attenta ricerca di repertorio, che ha portato Antonella a scegliere sia brani già affrontati in passato in diverse vesti, sia a incontrare musica per lei inedita.
L’incredibile varietà timbrica e stilistica ha definito quindi l’ambiente sonoro in cui il progetto si sarebbe mosso, con arrangiamenti inusuali, spesso di grande originalità e nella costante ricerca di suoni inediti e rari, utilizzando al massimo l’ampio spettro sonoro del quartetto di sax, talvolta impreziosito (a richiesta) da percussioni e coro misto.
“Dulce et Decorum Est” descrive un attacco chimico al gas durante la prima Guerra mondiale.
Il compositore Marteen de Splenter è cresciuto nella città di Ypres (Belgio), centro delle intense e sostenute battaglie tra la Germania e le Forze Alleate.
Ypres fu anche il primo luogo nel mondo che fece esperienza delle armi chimiche.
“Dulce et Decorum Est” sarà parte di un tributo sinfonico per Ypres (composto dallo stesso De Splenter) in occasione del centesimo anniversario della Grande Guerra. (Maarten De Splenter)
PROGRAMMA
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